Dr.ssa CAMMAROTA PATRIZIA

LA FOBIA SOCIALE

“DOTTORE, AIUTO DEVO PARLARE IN PUBBLICO!…”

Tra i disturbi d’ansia, la fobia sociale è il disturbo più diffuso dopo la depressione e l’abuso di alcool (Kessler, Stein e Berglung, 1998). Fobia sociale vuol dire avere paura di essere osservati, giudicati o di essere al centro dell’attenzione. Chi soffre di questo disturbo ha paura di essere giudicato male dagli altri se si dovessero accorgere che arrossisce, trema, suda, tutti elementi che denotano ansia. La caratteristica centrale è una marcata paura che riguarda le situazioni sociali Le situazioni temute si distinguono in prestazionali: es. parlare in pubblico, mangiare o bere in pubblico, entrare in una stanza dove altri sono già seduti, andare al supermercato; e in interazioni sociali: es. parlare ad uno sconosciuto, dare una festa, incontrare una persona dell’altro sesso, parlare con persone autorevoli; (Wittchen, Fuetsch, Sonntag, Muller e Liebowitz, 1999).

L’età media d’esordio si situerebbe nell’adolescenza. Nonostante il disturbo sia più prevalente nelle donne, sono gli uomini affetti che più frequentemente chiederebbero sostegno terapeutico. La reazione principale a queste paure è l’evitamento delle situazioni maggiormente temute. Di conseguenza le persone limitano sempre di più le proprie esperienze fino ad arrivare ad un marcato isolamento sociale.

Chi soffre di fobia sociale, quando si sente estremamente ansioso in una data situazione ed è convinto di fare una brutta figura, può avere difficoltà a riconoscere che le sue paure sono eccessive e irragionevoli; una volta uscito dalla situazione che crea ansia, solitamente si rende conto, che l’ansia che ha provato era eccessiva.

Purtroppo solo raramente tali pazienti arrivano a chiedere aiuto. Questo accade per svariati motivi; in primo luogo la paura del giudizio altrui, la paura di parlare di se stessi con una persona sconosciuta (un professionista) che, se sono motivi validi per qualsiasi altro disagio, lo sono ancor di più per chi soffre di fobia sociale. Inoltre sono persone che cercano di ridurre al minimo i contatti con altre persone o situazioni nuove e si sono adattate fino a non sentire la necessità o la spinta motivazionale a cambiare qualcosa.

Questi pazienti non presentano una sintomatologia eclatante o fastidiosa per i familiari come nel caso di altre patologie, come gli attacchi di panico che portano facilmente a chiedere l’aiuto del pronto soccorso. In genere ad una persona disponibile, poco conflittuale, arrendevole, non si chiede di cambiare o di andare in terapia, e questo non fa altro che rinforzare la sintomatologia. Non viene considerato un problema se una persona evita di esporsi a situazioni sociali o ha difficoltà relazionali e si parla più di normale timidezza con conseguente svalutazione del disagio, sensazione di non essere capiti e di non avere bisogno di aiuto perché in fondo se è “normale” non si pensa si possa cambiare qualcosa.

Ciò che distingue la timidezza dalla fobia sociale è che nel primo caso le persone cominciano a preoccuparsi solo poco prima dell’inizio della situazione che crea qualche difficoltà e di solito durante tale situazione diventano meno timide e ansiose e le volte successive trovano più facile affrontarla. Nel caso della fobia sociale, la persona comincia a preoccuparsi molto tempo prima, sta sempre peggio se rimane nella situazione e la volta successiva può essere anche più preoccupata. Infine bisogna considerare che una persona in queste condizioni, nella maggior parte dei casi, non riesce a costruirsi dei rapporti amicali o sentimentali e ad esempio può sviluppare una reazione depressiva e solo in questo caso il paziente o i familiari chiedono aiuto.

Accade quindi che si attribuisca un peso maggiore ad un disturbo che è però solo secondario alla fobia sociale. Alla base di questo disturbo ci possono essere cause genetiche e personologiche. Anche se i fattori genetici sono importanti, l’educazione ricevuta può contribuire positivamente ad aumentare la fiducia in se stessi o negativamente rafforzando le paure sociali.

Il trattamento più indicato si rifà al modello cognitivo-comportamentale che parte dal presupposto che le nostre reazioni ad una situazione sono dovute non tanto alla situazione in sé ma a quello che pensiamo di essa. Per questo è indispensabile agire promuovendo un’educazione sull’ansia e sulla fobia sociale; insegnare tecniche di controllo dell’ansia e del panico; correzione dei modi disfunzionali di pensare e promuovere l’aumento delle interazioni sociali. Data la maggiore facilità con cui il paziente fobico-sociale si rivolge al medico di base, è auspicabile lo stabilirsi di contatti sempre più ampi tra questi ultimi e gli specialisti della salute mentale, al fine di promuovere anche una sinergia operativa tra tali professionisti, i cui interventi possano essere integrati per ottenere risultati migliori in breve tempo.